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Uno Stato che ispiri il proprio ordinamento al principio del recupero sociale dei condannati non dovrebbe tollerare che questi siano sottoposti ad una trama di norme e di disposizioni amministrative che ne paralizzano la capacità di autodeterminazione precludendo loro ogni possibilità di sviluppo della personalità e costringendoli, troppo spesso, a cercare semplicemente di sopravvivere, cioè di conformarsi passivamente alla schiacciante compressione di regole spersonalizzanti. Focalizzato su tale prospettiva, lo sguardo al percorso che il nostro Paese ha compiuto non restituisce, purtroppo, un quadro confortante. Se si riflette che dalla storica sentenza costituzionale n. 204 del 1974 si è giunti, a quarant'anni di distanza, alla umiliazione della messa sotto tutela europea sancita dalla sentenza Torreggiani dell'8 gennaio 2013, si ha la sensazione di un sostanziale fallimento dell'Ordinamento penitenziario nato con la riforma del 1975 (legge 26 luglio 1975, n. 354) e dell'indifferibilità di un mutamento di passo - culturale prima ancora che normativo - che non può attendere una nuova condanna della Corte di Strasburgo per essere compiuto.